19 febbraio 2011

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Erich Hartmann USA. New York City. 1981. Woman and Cat on bed. Magnum Photos

A febbraio le giornate iniziano ad allungarsi, ma fa ancora freddo ed alle 6pm è già quasi buio.

Partii presto quel sabato, non volevo arrivare in ritardo al nostro primo appuntamento. La giornata era grigia e c’era anche un po’ di nebbia, sulla strada per Pavia, ma almeno aveva smesso di piovere. Ero emozionata. Ci saremmo riconosciuti sicuramente, in fondo eri stato tu a trovarmi tramite il web ma non mi avevi mai vista. Io invece sì, ti avevo visto in una fotografia e mi ero subito innamorata. Poi però la foto era sparita poche ore dopo ed io non avevo avuto modo di scaricarla e riguardarla ancora. Questa cosa non l’ho mai capita, è rimasta sempre un mistero per me. Ma in fondo non mi importava. In realtà mi importava solo che entro poche ore saresti stato a casa con me e sarebbe iniziata la nostra convivenza. Ero euforica. Non mi ero proprio posta il dubbio che potesse non funzionare, che avremmo potuto non andare d’accordo o che tu avresti potuto avere un brutto carattere. Davo per assodato che tutto sarebbe andato bene perché non avrebbe potuto essere diversamente. Quando arrivai all’appuntamento la tua auto non c’era ancora. Il parcheggio della piccola stazione di servizio lungo la statale era semi deserto e quasi buio. Parcheggiai e mi misi ad aspettare. 

I minuti passavano e i dubbi iniziavano a cadere insieme ad una fine pioggerella. Arrivavi da Novara, forse c’era traffico lungo la strada. O forse era tutto un inganno. Già mezz’ora che aspettavo. Ma ero arrivata in anticipo, dovevo avere pazienza. Ma il tempo passava e tu non arrivavi. Ecco, ora davvero avevi mezz’ora di ritardo e poi 45 minuti e quasi un’ora che aspettavo. Ero impaziente e preoccupata, stavo per prendere il cellulare e chiamare quando una station wagon datata parcheggiò accanto alla mia Polo. Valentina scese affannata e sorridente, scusandosi per il vergognoso ritardo. Un’altra staffetta si era aggiunta alla mia, all’ultimo momento. Non importa, dissi, l’importante è che siete qui. Aprì il bagagliaio ed anche se non eri solo ti riconobbi subito.

Eri un po’ stropicciato ma bello e pulito come un principino. Quando ti presi in braccio ebbi timore che scappassi via. Invece iniziasti a fare forte le fusa ed entrasti nel tuo nuovo trasportino senza problemi. Imparai poi che quelle fusa non erano per me ma per la paura che avevi. Il mondo, il tuo piccolo prezioso mondo si era di colpo frantumato. La tua sorellina l’avevano portata via il giorno prima ed ora anche tu eri stato strappato dalla tua mamma. Ma avevi più di 90 giorni e con la tua mamma non potevi più restare. Era tempo di entrare nella tua nuova famiglia, con la tua mamma adottiva: io. Io, che ero più terrorizzata di te al pensiero di quanto stavi soffrendo per il distacco ed il lungo viaggio. Io, che nel momento in cui sentii il tuo morbido robusto ma fragile corpicino tra le mie mani percepii tutta la mia inadeguatezza. Io, che non volevo pensarci ma anche il mio mondo stava cambiando e non sarebbe più stato lo stesso.

E infatti la mia vita da quella sera in un attimo si ribaltò come un guanto. A volte, quando cerco di ricordarmi come fosse prima, proprio non ci riesco. E mi chiedo, ancora, come ho fatto a vivere senza di te fino a quel momento.

Maria Luisa Paolillo
QueenFaee Studio 2018

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